Piccola Luna, sono la tua mamma. Io e il tuo specialissimo papà Roberto abbiamo deciso di scrivere per te il racconto di come sei venuta al mondo.
Sì, perché sei nata in modo diverso dalla maggior parte dei bambini…
Anche se adesso alcune cose ancora non le puoi capire, non preoccuparti: un giorno capirai.
Dunque, dunque…ho saputo di essere incinta la mattina di Natale, ma ne ho avuto la certezza solo il 28 dicembre, quando ho ricevuto l’esito dell’esame del sangue. In quei giorni, a metà strada tra la speranza e la scoperta, mi sono resa conto di quanto desiderassi che un bambino o una bambina stesse iniziando a vivere dentro di me.
Così è cominciata la nostra avventura assieme!
Fin da subito ho avuto due sensazioni molto chiare: che saresti stata una bambina (come annunciato dall’erborista Orietta mesi prima) e che tutto sarebbe andato bene!
Ci sono stati momenti in cui queste sensazioni non sono state più così vivide e ho avuto i miei momenti critici…ma col senno di poi posso dire che tu già mi stavi parlando e non ti sbagliavi!
Fin da prima della gravidanza desideravo un’attesa non medicalizzata, il meno “disturbata” possibile e un parto a casa. E così fu, anche se fino all’ultimo istante non ne siamo stati sicuri.
Così abbiamo contattato Paola, un’ostetrica della zona di Asolo (a circa mezz’ora di strada da casa nostra). All’inizio papà Roby era diffidente: “Ma non ci sono ostetriche più vicine?” “Ma quanto ci verrà a costare?” mi chiedeva. Poi l’ho convinto ad andare assieme a conoscere Paola e per noi è stata subito intesa. Ci sentivamo sulle sue stesse frequenze d’onda.
Abbiamo iniziato assieme un percorso di accompagnamento alla gravidanza, fatto di lunghe chiacchierate ed assai poco controllo medico, come desideravamo.
Io e papà abbiamo scelto di non fare ecografie. Sentivo che ti disturbava anche solo l’ascolto del battito con la radiolina ad ultrasuoni, perciò volevo lasciarti tranquilla; anche perché sapevo che stavi bene, che eri tutta intera, che la placenta era al suo posto…me lo dicevi tu e non mi servivano le ecografie.
Giustamente Paola non aveva le mie sensazioni e mi informava sui rischi, ma alla fine ha accettato con rispetto le nostre scelte.
È arrivato agosto, ti aspettavamo per il 25. Mi sentivo pronta ed in forma, a parte un gonfiore alle gambe piuttosto importante.
Ma è passato il 25 ed è passata anche la luna piena del 31, alla quale avevo chiesto di portarti.
Roby ha dovuto staccare il campanello, perché spesso passava qualcuno a chiedere se c’erano novità, mentre io sentivo un gran bisogno di raccoglimento ed introspezione.
In quei giorni adoravo stare con papà (ancora più del solito!!!) e passeggiare assieme, mentre detestavo le facce e le voci di tutti quelli che si sorprendevano che tu non fossi ancora nata e, spesso, seminavano preoccupazione.
Tu mi mandavi segnali positivi, ti muovevi ed io sapevo che stavi bene; semplicemente non era ancora arrivato il tuo tempo per venire al mondo!
Eppure più passavano i giorni, più il mio stato d’animo si faceva inquieto. Non ero propriamente preoccupata, però volevo conoscerti. “Piedino, dove sei? Piedino, quando arrivi?” ti chiedevo spesso.
Piedino. Così ti chiamavamo quand’eri nella pancia. Noi bussavamo e tu rispondevi con un movimento del tuo piccolo piede…
E tutti quelli che incontravamo: “Ma quanto manca?” “Ma non hai ancora partorito?”.
È passata la prima settimana, poi la seconda. A quel punto Paola ci ha invitato a fare un monitoraggio in ospedale ed un controllo del liquido amniotico (il mare in cui nuotavi prima di nascere).
Non volevo farlo ma alla fine siamo andati.
Naturalmente tutto andava bene, ma io già lo sapevo. In ogni caso la ginecologa ci ha invitato ad indurre il parto, ma noi abbiamo firmato per ritornare a casa.
Quel giorno io e papà siamo andati a fare una lunga passeggiata in riva al mare.
Da parte nostra abbiamo fatto dei tentativi per stimolare la tua nascita in modo più naturale secondo noi, come fare l’amore, tante passeggiate, l’osteopatia, la moxa ed infine il tanto temuto olio di ricino!
Non l’avessi mai fatto! Ne ho superato l’effetto fisicamente consumata! Ma nemmeno questo sistema ha fatto partire le contrazioni!
Ormai ero mentalmente a pezzi, stanca, sconfitta. Così il martedì sera, d’accordo con Paola, abbiamo preso appuntamento per il ricovero in ospedale la mattina dopo.
Quella sera io e papà, tra l’agitazione e la delusione, abbiamo preparato le valige e abbiamo cucinato un po’ di cose da mangiare da portare in ospedale. Potevano volerci giorni prima che si avviasse il travaglio… non potevamo mica andare avanti a panini!!!
Poi abbiamo fatto una cenetta leggera e siamo andati a fare un giro in paese. Camminando la pancia diventava dura, ma era successo moltissime altre volte nelle ultime settimane. Avevo tanti pensieri… mi sentivo sconfitta per non esser riuscita a darti la nascita che credevo meritassi e che ritenevo più rispettosa per tutti noi.
Poi siamo andati a letto.
Poco prima dell’una mi ha svegliato un dolore alla pancia.
Ero convinta di aver già sentito quel dolore almeno altre due volte quella notte, prima di svegliarmi.
Era un dolore che mi fasciava sotto la pancia, piuttosto intenso ed immobilizzante.
Mi sentivo bagnata, perciò sono andata in bagno a fare pipì. Avevo un senso di nausea e sulle mutande ho trovato una grande macchia rosa.
E di nuovo è tornato quel dolore, sempre più distinto. E ancora una volta dopo pochi minuti.
A quel punto ho svegliato Roby e gli ho descritto quello che sentivo. Avevo già assunto una posizione animale, a quattro zampe, appoggiata al letto.
Avvertivo papà quando cominciava quel dolore e poi quando si fermava. Lui cronometrava sonnacchioso ma abbastanza preciso: “Circa dieci minuti”, “Circa cinque minuti”…
Per me il tempo passava velocissimo. Dopo un paio d’ore passate prevalentemente in bagno, per lasciare che papà dormisse un poco, lui si è alzato ed ha chiamato Paola.
Lei mi ha consigliato di fare una doccia calda, puntando il getto d’acqua dove sentivo più dolore, ovvero sotto la pancia e alla schiena. Se dopo almeno mezz’ora il dolore non si fermava o diminuiva, l’avremmo richiamata.
Dopo la doccia le contrazioni erano ancora costanti ogni cinque minuti e molto dolorose. Così papà ha richiamato Paola e lei ci ha raggiunto.
Nel momento in cui papà mi ha avvisato che Paola stava arrivando ho capito che, davvero, era iniziato il travaglio.
Mi sentivo presente e lucida, ma col senno di poi posso dire che mi trovavo in un’altra dimensione mentale: non mi rendevo conto esattamente di quel che accadeva fuori di me, ad esempio che ora fosse, del fatto che piovesse, eccetera.
Ero tutta rivolta verso dentro, in ascolto di tutte le sensazioni fisiche e di te.
Ti parlavo, chiamandoti Piedino, e ti ripetevo di arrivare da me, ti dicevo che ti regalavo il mio corpo.
Cercavo di concentrarmi sul respiro in modo da alleviare la stretta della contrazione. Nonostante ciò, rimanevo piuttosto rigida e in tensione. Non so cosa mi bloccasse, ma non mi sentivo abbastanza brava a gestire la situazione con più naturalezza, come avrei voluto.
Ecco, ora potrei dire che ho cercato di reagire al dolore, invece che abbandonarmi a lui.
Non è che avessi paura di soffrire, ma volevo comportarmi nel modo più giusto di fronte a quella sofferenza, come se fossi sotto esame: mi sentivo giudicata.
Infatti, quando Paola con molto rispetto e gentilezza mi ha visitata, temevo che la dilatazione non fosse avanzata abbastanza o che non procedesse abbastanza velocemente. Insomma, non me ne accorgevo, ma mi sentivo come se dovessi essere una brava alunna che dimostra all’insegnante di aver studiato bene la lezione!
Paola ogni tanto ascoltava il tuo battito, che rispondeva sempre bello pimpante. Ogni tanto mi dava dei consigli sulle posizioni da prendere e mi invitava a mangiare qualche mandorla. Lei e papà Roby mi portavano bicchieri d’acqua. Io sudavo e perdevo già del sangue.
Poi a volte mi lasciavano sola e questo mi aiutava molto: ascoltavo i loro discorsi in cucina e questo mi faceva distogliere l’attenzione dalle sensazioni di dolore che provavo.
Sentivo un grande dolore fisico, naturalmente, ma pian piano sentivo che stavi arrivando e questo mi dava tanta emozione.
Quando Paola mi ha visitato ancora, mi ha detto che la dilatazione era quasi completa e che dopo poco mi avresti concesso una piccola tregua, con contrazioni più diradate e molto meno dolorose. Infine ci sarebbe stato da spingere.
Ed è andata proprio così: di lì a poco i miei gemiti sono diventati più lamentosi e le morse della pancia più distanti tra loro.
Il dolore mi dava ancora una gran nausea, mi sentivo spossata, al limite della sopportazione.
Mi ricordo che ad un certo punto Paola mi ha voluto visitare per vedere se c’erano sviluppi e se la tua discesa procedeva.
Così ha costatato che la tua testolina era già visibile oltre la mia peluria e ha detto: “Brava! Avevi ragione, è scesa!”
È stato un momento molto bello per me, una gran rassicurazione!
Ormai sapevo che era arrivato il momento delle spinte e che dopo poco tu, Piedino, saresti stato tra le mie braccia.
Però mi illudevo! Infatti la fase delle spinte non è stata così rapida come me l’aspettavo. Anzi, è stato il momento più difficile, fisicamente ed emotivamente.
Quando sentivo la contrazione sentivo che la tua testa spingeva e io dovevo favorire quella spinta… spingendo anch’io.
Pareva semplice… Ero convinta di spingere bene ma Paola ha iniziato a dirmi che non stavo spingendo a terra, bensì di petto. I miei sforzi erano dunque inefficaci!
Vivevo i commenti di Paola non come dei consigli, ma come dei rimproveri; mi sentivo un’incapace, nonostante mi impegnassi al massimo per spingere nel modo giusto.
Sentivo un dolore straziante al perineo e ancora più intenso all’ano. Non sapevo se era causato dal fatto che dovevo fare la cacca, se dalle emorroidi che erano molto ingrossate ed esterne, se dalla pressione della tua testina.
So solo che spingevo e non andava bene! Spingevo e perdevo energie. Spingevo nel punto sbagliato, pareva. E più spingevo, più perdevo fiducia nelle mie capacità, mi sentivo criticata e sempre meno incoraggiata!
Roby, che mi conosce molto bene, sapeva di dovermi sostenere e farmi forza, darmi motivazione. Mi diceva: “Brava, stai andando bene” anche quando Paola mi ripeteva che stavo buttando via energie inutilmente!
Sono passate ore in questo modo, ma non uscivi. Il tuo battito, sempre perfetto.
Papà e Paola mi dicevano di urlare, di arrabbiarmi. Io ci provavo, pur convinta che non fosse quella la strategia per spingere nel modo giusto.
In casa si è fatto avanti un clima di forte tensione. Paola sembrava arrabbiata e molto nervosa. Roby era molto provato, ma sempre discreto e affettuoso.
Passavano le ore…
Ad un certo punto Paola mi ha dato un ultimatum (… che parola: ultimatum! Mi fa venire in mente la guerra. Infatti, mi sentivo in battaglia, in prima linea, ormai vicina alla resa): “Se entro le otto non nasce, dobbiamo andare in ospedale!”.
Ma io in ospedale non ci volevo andare. Potevo toccare la tua testa, perciò mi sembrava assurdo dover cedere a quel punto. Inoltre non potevo nemmeno immaginare di riuscire a sedermi in macchina in quello stato!
Eppure papà ha incominciato a preparare il borsone per partire.
Io ho pregato Paola di darmi altri consigli, perché non avevo ancora capito come dovevo spingere con quello che mi aveva spiegato fino a quel momento.
Continuavo a sentire un dolore-bruciore sempre più anale che vaginale. Ho provato a cambiare tante posizioni, a stare da sola, a stare con Roby, ad essere guidata da Paola nelle spinte.
Niente da fare!
Sapevo solo che non sopportavo di stare distesa, che sanguinavo, soffrivo e mi sentivo persa, spaesata. E dentro di me sentivo un gran senso di fallimento.
Così sono arrivate le 20 e, per fortuna, ancora non partivamo.
Io volevo, più di ogni altra cosa, finalmente portarti alla luce, ma proprio non sapevo come fare!
Mi sentivo un po’ arrabbiata e molto confusa…
Allora Paola mi ha detto che forse, durante il travaglio, avrei dovuto muovermi di più, camminare, invece ero rimasta tutto il giorno chiusa in camera, migrando al massimo verso il bagno. Perciò mi ha invitato a camminare attorno al tavolo della cucina.
A me pareva di avere una mela infuocata tra le gambe ed era dolorosissimo ogni singolo passo.
La valigia era là, sopra al divano, che aspettava solo di partire per l’ospedale.
Papà, che forse non sapeva neanche lui dove mettersi (la nostra cucina non è molto grande!) ha iniziato a camminare attorno al tavolo assieme a me.
Camminavo, piangevo e gocciolavo sangue. Quando sentivo la spinta, mi accucciavo sostenendomi al tavolo o mi appendevo alla stufa e spingevo forte.
Paola continuava a dirmi che spingevo di petto!
Ho provato anche a spingere con papà che mi sosteneva le ascelle, aprendo un po’ l’angolo del bacino. Quella posizione non mi piaceva tanto, ma provavo.
Camminando e spingendo ho iniziato a sentire meglio la discesa del tuo corpicino attraverso di me, verso il mondo. Ora sì, potevo percepire, da dentro, la sagoma del tuo corpo inarcato o almeno credevo di percepirla…forse era solo la mia immaginazione che si era spinta oltre!
È stato a quel punto che papà ha fatto una delle sue genialate: mentre spingevo per l’ennesima volta addossata a lui mi ha detto: “Dai, si vede la testa!”
E io: “Quanta testa si vede?” e lui ha urlato “La fronte, la fronte!”
per un attimo ho pensato che non era possibile che si vedesse la fronte, ma al massimo si poteva vedere il vertice della tua testa! Però il suo entusiasmo nel dirmi che c’era una piccola evoluzione mi ha caricato di un’energia sorprendente.
Ed ho spinto forte, al massimo delle mie possibilità e finalmente ho sentito un fiume che si apriva tra le cosce. Con una spinta mi sono lacerata e con un’altra ho sentito la tua grossa testa che si faceva strada e, come fosse un pesce, ho sentito scivolare fuori il tuo corpo, che è stato subito afferrato da Paola.
Subito ho notato che il liquido che era uscito assieme al tuo corpo era macchiato di scuro e ho sperato forte che non avessi ingoiato o inspirato il meconio.
Ho atteso infiniti centesimi di secondo di udire il tuo primo vagito.
Poi ecco un gemito…Piedino, eri nato!
D’un tratto non ho sentito più alcun dolore, ma solo pace, beatitudine, gioia e una certa soddisfazione!
Roby piangeva, mentre io non potevo fare altro che sorridere!
Paola ti ha appoggiato alla mia pancia e ti ha coperto con un asciugamano.
Ti sentivo vibrare appena e intanto ci appiccicavamo l’una all’altra con la colla di meconio che continuavi ad eliminare.
Eppure io avevo voglia di leccarti.
Dopo qualche minuto ho voluto controllare di persona il sesso della mia creatura, anche se Roby già mi aveva detto che secondo lui eri una bambina.
Eh sì, oltre il cordone ci si annunciava che eri femmina! Eri la mia Luna!
È stata una gioia ancora più grande! I miei sentori di inizio gravidanza si erano rivelati veri!
Poi ci siamo trasferiti nel lettone, dove è nata la placenta e dove ti abbiamo sciacquato e vestito.
Da lì abbiamo anche telefonato ai nostri genitori per avvisarli che erano diventati nonni.
Io desideravo fare una doccia ma ero stremata! I muscoli, i nervi, la pelle, le mucose…tutto era ora rigido e dolorante. Ci sono volute almeno due settimane per ritornare ad una quasi normalità.
Ora la quotidianità ha già sfumato i ricordi di quel 19 settembre e ha trasformato e rinnovato i pensieri.
Le sensazioni di quelle prime ore della tua vita non ritorneranno più…
Una cosa però ricordo: quella prima notte affianco a te nel lettone pensavo: “Com’è possibile che una donna partorisca una volta e poi trovi il coraggio di farlo ancora?”.
I dolori del travaglio, del parto e del dopo parto (specialmente) sono terribili! Eppure con il dolore passa anche la memoria dello stesso. Al suo posto resta un piccolo cucciolo da accudire e coccolare.
E col tempo, anzi, avanza il desiderio di rivivere la magia di quelle ore.
Averti potuto accogliere nella nostra casa, anziché in ospedale, per me è un grande successo, un sogno che si è realizzato, la promessa che ti avevo fatto che è stata mantenuta.
Sei nata nell’intimità, nella tranquillità, nella semplicità… come la Natura ha disposto… come dovrebbe avvenire ogni nascita!
Grazie, Lucia
per aver pubblicato il nostro racconto
e grazie a Paola, la nostra ostetrica-guerriera
per averci accompagnati fino alla fine
anche se molti ci giudicavano pazzi!!!
Incredibile racconto.
Anche la “mia” Luna è nata a settembre, il 21.
In acqua, a casa.
Brava Sara! Ottimo lavoro 😉 vedrai che il secondo parto sarà molto più facile. Vale sempre la pena…